martedì 16 agosto 2011

Animali di città #2



Animali di città _n.1  (24 Dicembre 2006)

Sto tornando a casa da lezione percorrendo i vicoli e i ronchi di questa fatiscente Ortigia. Appena imboccata via Roma, sento un odore a me familiare. E' l'odore di "casa"; perché Siracusa ha un odore diverso da Catania, e sentirlo mi ricorda che, o nel bene o nel male, anche questa è "casa". Sento appartenermi l'odore della strada che percorro.
Non si tratta di un profumo gradevole, non si tratta di un dolce odore. Sa di strada, della polvere di pietra gialla di cui sono fatte qui le case, sa del vapore della lavanderia all'angolo, di brezza marina, di alghe, di cielo. Sa di asfalto, di città rumorosa, di una vecchia affacciata alla finestra. Sa di voci e chiacchiericcio indistinti.
Penso che mi piacerebbe chiuderlo in una bottiglietta di vetro sottile, come quelle in cui mettono all'interno le miniature di vascelli, o come quelle disegnate nei libri per bambini, galleggianti in mezzo al mare, contenenti un messaggio pieno di speranze, mi piacerebbe rinchiudere l'odore in una bottiglia simile e portartela per farti sentire il mio odore di "casa". Se.. se, se, se, se, se, se... il "se" rimane pur sempre un "se", e prendo consapevolezza di come, anche riuscendo a chiudere l'odore in una bottiglia, tu non potresti comunque sentire le emozioni che provo io a trovarmici immersa, ma un semplice odore. Prendo consapevolezza di come il mezzo della lingua sia fatuo nel descrivere certe sensazioni ma, ciò che ancor più dolora, di quanto anche la materialità delle cose possa risultare inutile, superflua, ingannevole, individuale.
Mi perdo tra le mille immagini che scorrono veloci sotto i miei occhi, come al cinema, e mi sento dentro un'immensa pellicola, quando penso che ti scriverò dell'odore, ancora compagno fedele d'ogni mio passo.
Continuo a camminare, senza più sentire di farlo. Metto il piede destro avanti, lasciando indietro il sinistro, metto il piede sinistro avanti, lasciando indietro il destro. E ancora, ancora.. pesto una cicca ancora accesa, evito un chewing gum, una mattonella, due mattonelle, tre mattonelle...
Cerco le chiavi in borsa, le trovo e apro il portone, tutto senza quasi fermare il mio andare, salgo le scale al ritmo di una musica che non c'è. Apro la porta di casa, entro, mi fermo. Sento lo strofinio del raso sul maglione rosa con i fioroni, lasciando scivolare il giubbotto di pelle dalle spalle.
Accendo il computer. Apro il winamp. Trovo la lista di brani ascoltata prima di andare in facoltà e premo play.
Non dovevo scriverti dell'odore?! ....start; programmi; microsoft office; word!
Abbasso la musica per sentire più forte i miei pensieri. Abbasso ancora un po'. Così va bene, quasi di sottofondo. Ma no, abbasso ancora, ancora un po'.. e ancora.. dai, abbassa ancora. E' al minimo. Abbassa, abbassa.. Il volume è a zero.
Dal silenzio, inizio a scriverti queste parole.




Animali di città _n.2  (27 Febbraio 2007)

Odori. Odori. Ancora odori. Odori dappertutto.
Inizio a convincermi che Siracusa sia una matassa ingarbugliata di odori, ingarbugliata come lo sono i gomitoli di lana.
Mi sa proprio che i palazzi, le strade, i marciapiedi, le piazze non esistano nella realtà ma, scaturiscano dalla mia immaginazione, stimolata da incroci sbilenchi di diversi profumi.
Dalla facoltà ai villini ho incontrato odore dello scarico delle auto intente a tormentare Ortigia, odore di assenza in Piazza Duomo. Poi, di polvere di cantiere, di fogna, l'odore rotondo di acqua marina mista a catrame, oltrepassando il ponte. Percorrendo una delle vie secondarie del Corso Umberto, sono stata investita da un fortissimo odore di fiori; ho alzato la testa e li ho cercati, ma non vi erano fiori intorno a me, e non sono, dunque, riuscita a scoprire da dove arrivasse il profumo.
Stamane, passando da via Logoteta, un altro odore mi ha accolto, come a darmi il benvenuto al mio rientro da Catania. In quella strada vi è una falegnameria che colma l'intero vicolo dell'odore del legno lavorato, dell'odore del legno piallato, dell'odore del legno lucidato, stagionato, segato, sbriciolato.
Ora, abbandono il ricordo del legno per far spazio a quello malleabile dell'umidità adagiata su ogni singola cosa d'Ortigia e dintorni.
Ho camminato mantenendo un gran silenzio, un silenzio così forte, così vero, così crudele.
Il silenzio s'impone a me, amplificando i lievi scroscii di una città muta solo in apparenza.
Tutto parla al posto mio; parlano le foglie che rotolano per il vento, o per il passaggio di un'auto, e quelle secche che calpesto senza ritegno, parlano i copertoni rotolando sull'asfalto come delfini stanchi ma obbedienti.
Romba un motorino così forte da assordarmi. Mi sembra quasi di non vedere più, per quanto i miei sensi sono provati da un simile frastuono. Ma no, dai... E' solo un motorino!
Non è quello a rombare troppo forte, è questo silenzio che mozza la lingua e il fiato, ad esser troppo forte.
Riesco a sentire il rumore dei miei jeans strusciare sulle adidas che porto ai piedi. Ed i miei passi? Tonfi immensi, infiniti, sconfinati, orizzontici, atroci.
Inizio a sentir freddo seduta sulla panchina del porto, e la mia pelle d'oca, dalla schiena sino al collo, anche di quell'incresparsi inizio a sentire il rumore.
E poi, voglio andar via, le voci in lontananza m'infastidiscono per la troppa invidia suscitata nel derelitto cuore che nascondo in petto.

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